Se ne è parlato in passato e se ne torna a parlare adesso: il paradiso delle Maldive è offuscato da una colonna di fumo nero che sale dall’isola di Thilafushi. Un’isola artificiale a soli 7 km da Malè che è in realtà un’enorme discarica a cielo aperto che cresce di giorno in giorno. Lì vi si depositano tutti rifiuti prodotti dalla capitale e non solo: anche i turisti contribuiscono al suo accrescimento.
Ne parlò tre anni fa il Guardian inglese, e il reportage fu riportato in Italia da Repubblica. Oggi torna a parlarne BBC con un servizio impressionante, che potete vedere qui sotto: il giornalista Simon Reeve sbarca in questa immensa isola pattumiera, e si muove tra cumuli e cumuli di rifiuti non trattati né selezionati. Anzi, peggio: si dà fuoco alla spazzatura, creando l’infame colonna di fumo visibile a distanza e disperdendo sostanze tossiche nell’aria. La polvere alzata dai camion dei rifiuti avvolge il giornalista, che resta colpito dall’incredibile quantità di mosche che gli volano attorno, e deve per forza di cose coprirsi bocca e naso per non inalare i veleni.
Thilafushi ha accolto il primo camion di spazzatura nel 1992: all’inizio l’isola serviva solo per “smaltire” i rifiuti della capitale Malè, una delle città più densamente popolate della Terra. In seguito è diventata la discarica delle Maldive, accogliendo ogni giorno le oltre 300 tonnellate di rifiuti prodotte dai 10.000 turisti che l’arcipelago ospita ogni settimana. Un ritmo troppo veloce, che ha portato l’isola a crescere di 1 mq al giorno.
Il problema è che lo sversamento dei rifiuti è indiscriminato: vi si trovano anche componenti elettroniche, batterie e altri oggetti che contengono sostanze nocive come piombo, cadmio, amianto. E tra la spazzatura e il mare c’è solo un sottile strato di sabbia che fa da barriera. Se il rischio che il percolato si insinui nel sottosuolo e finisca in mare è già grave adesso, lo sarà ancora di più quando per effetto dell’innalzamento delle acque l’oceano invaderà parte dell’isola. Trascinando con sé le sostanze tossiche: queste saranno assorbite da plancton e alghe, nutrimento dei pesci che finiscono dritti sulla nostra tavola.
Naturalmente il governo sostiene di volersi occupare del problema, ma ben poco ha fatto di fronte alle proteste degli ambientalisti del gruppo Blu Peace, l’associazione in difesa della purezza delle Maldive. Nel frattempo questo sporco fazzoletto di sabbia nell’oceano, lungo 7 km e largo 500 metri, continua a crescere. E non solo: perché sull’isola sono sorti anche degli stabilimenti industriali che producono ed esportano imbarcazioni, cemento e metano. E i cui rifiuti vanno ad accumularsi nell’enorme discarica.
Foto da Flickr
Eppure vedendo le immagini del Constance Moofushi sembra che la situazione sia completamente diversa: saranno anche due posti diversi?