Le montagne degli ottomila: dall’Everest al K2 la mortalità sulle cime più alte del mondo

Montagne Ottomila
Montagne Ottomila

Si chiamano Montagne degli ottomila e sono un club molto esclusivo: per farne parte bisogna avere la cima che supera gli 8.000 metri d’altidudine sul livello del mare.
Attualmente, al mondo sono solo in 14 ad avere la tessera d’iscrizione: 14 cime, ovvero le montagne più alte del mondo, che da sempre rappresentano una sfida per alpinisti e scalatori. E infatti sulle montagne degli ottomila si battono record, si stabiliscono nuovi primati, ma si muore anche.
L’Himalaya è sicuramente un luogo molto suggestivo, ma spesso al centro delle cronache per gli incidenti fatali e le tragedie che tolgono la vita a qualcuno: come l’alpinista Alberto Magliano, travolto ieri da una valanga in Nepal insieme ad altri 12 colleghi.

Everest, K2, Nanga Parbat, Manaslu (dove si trovavano Magliano e gli altri alpinisti), Annapurna, Shishapangma: l’elenco è lungo, ma la localizzazione geografica punta sempre nella stessa direzione. Se le scalate nelle montagne europee rischiano di essere ardue, provate a pensare a quelle in Asia centro-meridionale, per la precisione tra Cina, Nepal e Pakistan: qui si trovano le due catene montuose più temibili del mondo, quella dell’Himalaya e quella del Karakorum, che vedete qui sotto.

Karakorum
Karakorum

Giusto per fare un po’ di storia, diciamo che la prima scalata agli ottomila conclusa con successo risale al 3 giugno 1950, quando i due alpinisti francesi Maurice Herzog e Louis Lachenal toccarono la cima dell’Annapurma. Poi è arrivato l’italiano Reinhold Messner a fare leggenda, l’unico uomo al mondo che, ad oggi, ha scalato tutte le montagne degli ottomila tornandone vivo.

Le cime degli ottomila sono in tutto 14: di queste, 9 si trovano nella catena dell’Himalaya, 4 nel Karakorum e poi c’è il Nanga Parbat a fare gruppo a sè visto che non appartiene a nessune delle due catene. La vetta più alta è l’Everest (8.848 metri), la più ‘bassa’ è il Shishapangma, che tocca appena gli 8.027 metri (e che vedete qui sotto).

Shishapangma
Shishapangma

La mortalità su queste cime è, purtroppo, molto alta: l’altitudine, il dislivello, le condizioni climatiche durissime che possono cambiare da un momento sono tutti fattori che possono risultare fatali. Non a caso, infatti, gli alpinisti chiamano la parte di montagna superiore agli 8.000 metri ‘Zona della morte’: perchè qui l’aria è talmente rarefatta che respirare è difficile anche da fermi e smaltire la stanchezza della scalata precedente non è per niente facile.

Il tasso di decessi più elevato appartiene all’Annapurna (8.091 m): su 130 scalate si contano 53 decessi, un tasso del 40.77%. In proporzione, l’Everest ha mietuto più vittime (179 decessi), ma ha un tasso del 9.30% perchè le scalate sono state ben 1924.
Nanga Parbat e K2 sono rispettivamente in seconda e terza posizione di questa triste classifica: sul Nanga Parbat (8.125 m) hanno perso la vita 61 persone su 216 scalate, mentre le vittime del K2 (8.611 metri) sono 53 su 198 spedizioni.
Manaslu (8.163 m), la cima dove hanno perso la vita i 13 alpinisti travolti ieri da una valanga, ha un tasso di decessi del 21.67%.

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