Qui è vietato nascere e morire. Le leggi di questo Paese possono sembrare assurde, ma in realtà agiscono per il bene di tutti.
Una manciata di case, circa due mila abitanti e un nome quasi impossibile da pronunciare. Longyearbyen, nelle isole Svalbard in Norvegia, con la sua vita che scorre oltre il 78° parallelo, è il centro abitato più a Nord della Terra.
Sperduto, lontano dal resto del mondo, ma non dal Polo Nord: se questa cittadina dista da Tromsø (la località più vicina) un’ora e mezza d’aereo, solo poco più di 1.300 chilometri la separano invece dal Polo Nord.
A Longyearbyen vivono più orsi polari che esseri umani, non esistono alberi e tutto è ricoperto per circa il 60% da silenziosi ghiacci perenni.
Qui ogni anno il sole tramonta per l’ultima volta il 25 ottobre e nessuno avrà più alcuna sua notizia almeno fino all’8 marzo.
Oscurità totale in inverno, luce in estate. Vivere in questo posto, così remoto da non essere trovato al primo colpo nemmeno sul mappamondo, non è facile e nemmeno per tutti. Chi ci vive, è solo perché lo ha scelto. Per trasferirsi qui infatti non è necessario alcun visto.
Longyearbyen non è solo l’insediamento urbano più a Nord del mondo, ma anche uno di quelli in cui non si può nascere né morire.
La città dove è vietato nascere e morire nel Circolo Polare Artico
É vietato nascere, è vietato morire. É la legge delle Svalbard che lo dice. Qui le donne in gravidanza vengono trasferite sulla terraferma per partorire, circa due settimane prima, perché non esiste un ospedale attrezzato in caso di emergenza.
E se sei malato o sul punto di passare a miglior vita, vale la stessa cosa: non puoi assolutamente finire la tua esistenza in questo luogo.
La terra sotto il cielo meraviglioso delle Svalbard, nel quale danza durante la notte polare l’aurora boreale, non è poi magica tanto quanto lo spettacolo che sa regalare questo posto. Le temperature glaciali infatti, costantemente sotto lo zero, congelano ogni cosa. Tutto viene mantenuto perfettamente intatto nello strato di permafrost. Anche i morti.
L’influenza spagnola alle Svalbard
Negli anni Cinquanta gli abitanti di Longyearbyen si resero conto che il ghiaccio perennemente presente impediva ai cadaveri di decomporsi, lasciandoli letteralmente intatti.
Per capire meglio perché in questo posto non si può morire bisogna comunque fare un salto nel tempo.
Intorno agli anni Venti l’influenza spagnola, che ha colpito la popolazione di tutto il mondo provocando milioni di morti, arrivò anche qui, in questo angolo remoto della Terra. Circa una dozzina di persone morì e fu sepolta nel piccolo cimitero di Longyearbyen.
Studi recenti hanno portato i ricercatori a esaminare i corpi di chi perse la vita in quella circostanza e ciò che fu scoperto ha davvero dell’incredibile.
I corpi di chi era morto di spagnola erano non solo intatti, ma conservavano nei loro tessuti virus ancora “attivi”, mantenuti in vita. Questo è stato reso possibile dalle temperature che impediscono la decomposizione dei corpi e la distruzione degli eventuali virus contenuti all’interno.
Per prevenire il ritorno dell’influenza spagnola e di altre malattie potenzialmente pericolose, allora, dal 1950 è vietato morire e trovare sepoltura a Longyearbyen. Il piccolo cimitero, infatti, ospita solo persone morte prima del 1900 e cremate.
Chiunque si trovi in procinto di morte deve necessariamente lasciare l’isola. Si farà il possibile per permettere alla persona interessata di raggiungere la terraferma e morire serenamente.
Nel caso di morte accidentale, invece, il cadavere viene trasferito in Norvegia e sepolto in uno dei cimiteri aperti. Se invece chi muore ha dichiarato in vita di voler rimanere nella propria terra, può farlo solo se cremato e dopo aver ricevuto un’autorizzazione speciale da parte delle autorità.
Una vita dura dunque, quella a Longyearbyen. Ma nemmeno la morte qui è di certo cosa facile.