Venezia potrebbe vedere la costruzione di un centro commerciale che dà proprio sul ponte di Rialto. Non è un’ipotesi, ma è realtà quasi concreta. Il gruppo Benetton ha acquistato il Fondaco dei Tedeschi, un palazzo storico del Cinquecento, con l’intento di farne un enorme centro con “una superficie di vendita non inferiore a mq 6.800”. La cosa ovviamente ha scatenato polemiche, e la protesta in un articolo tagliente di Repubblica a firma Salvatore Settis.
Settis ci racconta la storia dell’acquisto del palazzo e delle trattative per la sua trasformazione, partendo proprio dalle origini del palazzo stesso: con le parole dello scrittore Francesco Sansovino, che nel 1581 ci scrive che il Fondaco dei Tedeschi fu costruito per il commercio con i mercanti della Germania, che in esso custodivano le merci. La Benetton ha comprato l’edificio nel 2008, sborsando la cifra di 53 milioni, e dichiarando apertamente di volerne fare “megastore di forte impatto simbolico”.
Ma quanto è lunga la trafila burocratica per un’operazione del genere? E soprattutto, si può fare? Come si può integrare nel piano urbanistico di una città come Venezia un centro commerciale di questa portata? Settis infatti ci dice che il progetto prevede la costruzione di scale mobili e la trasformazione del tetto in una terrazza panoramica. Inoltre il lucernario sparirebbe per far posto a un altro piano, così come parti del ballatoio. Il progetto è firmato dall’architetto olandese Rem Koolhaas.
Italia Nostra, Associazione per la salvaguardia e la conservazione dell’ambiente e del territorio in Italia, ha esposto una denuncia alla Procura della Repubblica e al Ministero dei Beni Culturali, anche per la violazione di norme del Codice dei beni culturali (art. 170), e del Codice penale (art. 635), poiché gli interventi di ristrutturazione, chiamiamoli così, minano l’identità storica dell’edificio.
Il mistero è presto svelato nell’articolo 5 della convenzione che il sindaco Orsoni ha firmato con Benetton: il gruppo si impegna a donare alla città sei milioni di euro a patto che il Comune si impegni a rilasciare in tempi veloci tutti i permessi necessari per la realizzazione del progetto, in modo che quest’ultimo si completi nel giro di 4 anni. Se il comune dovesse venire meno ai patti dovrà restituire la cifra con interessi.
Oltre naturalmente a una trattativa così scellerata, che subordina come al solito il potere politico agli interessi economici, sono altre le cose che sconvolgono. Come fa la stessa multinazionale che nella provincia di Treviso ha avviato un progetto per la conservazione dei luoghi di valore, a intraprendere la realizzazione di una simile mostruosità? Settis se lo chiede, e ce lo chiediamo anche noi.
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