Nel corso del tempo, hanno scaricato 2 milioni di pneumatici nell’oceano e per una spiegazione che vi lascerà senza parole.
Negli anni ’70, gli abitanti della Florida, negli USA, dovettero affrontare un problema: non sapevano dove riporre i pneumatici ormai in disuso. L’uomo, poi, ad un certo punto, ha trovato un modo per riciclare le cose usate: le stesse, infatti, furono gettate nelle discariche. Un’azione che, come si può immaginare, aveva delle conseguenze.
Pneumatici nell’oceano, una storia che risale agli anni ’70
Tali discariche non si trovavano in luoghi speciali, bensì vicino alle grandi città e col tempo diventarono sempre più grandi.
In Florida, il problema dello smaltimento dei pneumatici fu risolto in un modo davvero insolito. Le autorità , dunque, decisero di creare barriere coralline artificiali, creando un vero e proprio habitat per i pesci. L’idea di creare una barriera corallina con i pneumatici sembrava ideale, in quanto avrebbe risolto due problemi: quello di riciclare i pneumatici e di supportare la pesca.
Uno degli autori del progetto, Gregory McIntosh, diede spunti alle autorità con la sua idea, affermando che: “I pneumatici che inquinano la terra e hanno un aspetto brutto possono essere molto utili! Ne creeremo una barriera corallina per la pesca!”.
L’approvazione del progetto
Nella primavera del 1974, le autorità statali approvarono il progetto e i dipendenti del Corpo degli Ingegneri dell’Esercito degli Stati Uniti, insieme ai pescatori, iniziarono ad attuare l’idea, delimitando l’area, nella quale furono sversati 2 milioni di pneumatici per auto sul fondo dell’Oceano Atlantico. La struttura fu chiamata Osborne Reef.
La superficie era di circa 15 ettari. La barriera corallina si trovava a circa 2 km dalla costa, ad una profondità di 20 metri, al largo della costa orientale della Florida.
Per evitare che i pneumatici si disperdessero sul fondo dell’oceano, furono collegati saldamente con fascette metalliche e corde di nylon.
Secondo l’idea degli autori del progetto, le barriere coralline avrebbero dovuto attaccarsi alla superficie dei pneumatici e iniziare a crescere, creando una casa per i pesci. All’inizio tutto andò secondo i piani: i coralli iniziarono effettivamente a colonizzare la nuova superficie.
Il crollo della struttura
In 25 anni, circa il 10% della barriera corallina artificiale era già ricoperta di coralli e ciò era positivo ma, poi, qualcosa andò storto. A causa dell’acqua salata del mare, infatti, le fascette metalliche iniziarono a disintegrarsi e i pneumatici cominciarono a separarsi l’uno dall’altro.
Il mare, a quel punto, fu inquinato dai pneumatici, che distrussero i coralli esistenti, impedendone la formazione di nuovi, in quanto tossici, sparpagliandosi, poi, sul fondo dell’oceano. Le correnti sottomarine e le tempeste li trasportarono fino a riva, intasando sia le acque che le spiagge.
Non è tutto: il materiale con cui erano realizzati rilasciò circa 120 diversi agenti cancerogeni che danneggiarono la vita marina. Per non provocare ulterior danni, si decise di rimuovere i pneumatici, anche se l’operazione fu molto costosa, stimata a 17 dollari per ciascun pneumatico.
Nel 2007, i militari recuperarono dal fondo 73mila pneumatici: secondo gli ecologisti, ci vorranno circa 50 anni per ripristinare l’ecosistema e formare nuove barriere coralline.