È venuta alla luce una foresta di 1300 anni fa, era rimasta intrappolata: dove

Una foresta di 1300 anni è riapparsa in Alaska. È una delle tante conseguenze del cambiamento climatico che sta attanagliando il nostro Pianeta.

Foresta di 1300 anni fa
Foresta di 1300 anni fa -viaggi.nanopress.it

I cambiamenti climatici stanno sempre più sconvolgendo il nostro Pianeta e la sua geografia. Le temperature sempre più alte stanno infatti mettendo a dura prova la sopravvivenza dei ghiacciai, alcuni dei quali sono già sull’orlo della scomparsa.

Altri ancora, invece, si stanno via via sempre più ritirando mettendo a rischio anche i parchi nazionali che li ospitano.

I ghiacciai si ritirano e spunta una foresta di 1300 anni fa

In Alaska, nel Parco Nazionale Kenai Fjords, si è assistito a qualcosa di incredibile. La ritirata dei ghiacciai in questa regione ha infatti fatto riemergere i tronchi di una grande e antica foresta.

Nello specifico, il riapparire di queste sezioni d’albero si deve al ghiacciaio Exit, il quale anno dopo anno scompare sempre più.

La foresta sepolta dal ghiaccio risale a circa 1300 anni fa e può essere datata in un periodo di tempo che spazia dal 641 al 771 dopo Cristo. Si tratta di alberi che un tempo popolavano rigogliosamente la zona, prima dell’arrivo dell’ultima era glaciale.

foresta di 1300 anni fa
foresta di 1300 anni fa – viaggi.nanopress.it

La crisi del clima e il conseguente scioglimento dei ghiacci si sta attualmente verificando in gran parte dell’Alaska. Qui infatti nel Glacier Bay National Park and Preserve è addirittura emerso il tronco d’albero più antico mai ritrovato risalente a ben 9400 anni fa.

Lo studio sul ritiro dei ghiacciai

Uno studio pubblicato sul Journal of Glaciology chiamato “Maritime glacier retreat and terminus area change in Kenai Fjords National Park, Alaska, between 1984 and 2021” dimostra come in quest’area ben 13 ghiacciai su 19 stanno ritirandosi. Solo 4 sono stabili mentre i restanti 2 sono in crescita.

Il Parco Nazionale Kenai Fjords ospita diversi importantissimi ghiacciai, alcuni dei quali finiscono nell’oceano, altri sulla terraferma. Tutti quanti rappresentano la principale attrazione del parco nazionale e il motivo per il quale i turisti arrivano fin qui.

L’accelerazione della loro scomparsa, quindi, potrebbe gravare pesantemente anche sul turismo in zona.

Ecco perché i gestori del parco hanno iniziato a chiedere più informazioni su ciò che sta accadendo e sulle condizioni di salute dei ghiacciai.

I ricercatori hanno riportato nello studio che quelli in fase di ritiro stanno procedendo in modo piuttosto rapido. Il ghiacciaio Bear, per esempio, si è già ritirato di 5 chilometri tra il 1984 e il 2021, mentre il Pedersen ha perso ben 3,2 chilometri di terreno.

Questi due ghiacciai si trovano a quote relativamente basse e quindi soffrono maggiormente a causa dei cambiamenti del clima che causano più piogge in inverno piuttosto che neve, fonte di vita essenziale per la sopravvivenza di questi preziosi giganti.

Sorte diversa, invece, per il ghiacciaio Holgate. Questo, il quale finisce in mare, negli ultimi anni è addirittura cresciuto.

Per quanto riguarda invece i ghiacciai che terminano sulla terraferma, solo uno è anch’esso in crescita. Si tratta del Paguna il quale riesce a proteggersi dal surriscaldamento globale grazie ai detriti rocciosi che lo ricoprono. Quest’ultimi erano stati provocati dal terremoto del 1964 e fungono da isolante alla superficie del ghiacciaio.

Il metodo di ricerca per conoscere i cambiamenti climatici

I ricercatori sono arrivati a queste conclusioni grazie allo studio di ben 38 anni di immagini satellitari scattate in diverse stagioni dell’anno. Ciascuna delle oltre 600 foto collezionate sui 19 ghiacciai del parco è stata analizzata in ogni sua parte.

ritiro dei ghiacciai in Alaska
ritiro dei ghiacciai in Alaska – viaggi.nanopress.it

I dati ricavati hanno fornito agli esperti informazioni importanti sulle temperature delle zone più calde e sulla quantità delle precipitazioni così da monitorare e studiare meglio i cambiamenti climatici in zona.

Secondo gli scienziati, infatti, questi studi potrebbero servire anche ai responsabili del parco per poter gestirlo al meglio, comprenderlo e farlo comprendere anche a tutti i visitatori che ogni anno arrivano qui da ogni parte del mondo.

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