La vedova nera europea, nota anche come “malmignatta”, è sempre più diffusa a causa del cambiamento climatico.
Nell’eterna lotta tra uomo e natura, la ricerca dà un contributo prezioso e una ricerca scientifica ci viene in aiuto anche contro il veleno di uno dei ragni più pericolosi in Italia. La vedova nera mediterranea, che molti conoscono con il nome di “malmignatta” (la terminologia precisa è Latrodectus tredecimguttatus) rappresenta oggi la tipologia di ragno più pericoloso in Italia: il morso di questo animale scatena nel corpo delle vittime un potente veleno che però oggi, grazie agli ultimi risultati di una ricerca, sarà possibile sconfiggere. L’antidoto è ancora in via di sperimentazione, ma rappresenta un traguardo soprattutto in un ambiente che è sempre più sottoposto a variazioni nelle abitudini delle specie animali, con la diffusione eccessiva di animali infestanti o di razze pericolose a causa del cambiamento climatico, che ne cambia stili di vita e concentrazioni anche nei luoghi abitati.
Come funziona l’antidoto contro la malmignatta?
La vedova nera mediterranea o malmignatta rappresenta uno dei ragni più pericolosi tra quelli presenti in Italia, insieme al ragno violino. Nel momento in cui si viene morsi, l’insetto rilascia nella vittima l’alfa-latrossina, una neurotossina che provoca sintomi molto gravi, col rischio di morte.
L’insorgenza di tali sintomi, o “latrodectismo”, parte da semplici fastidi come ipertensione, cefalee, fino ad arrivare a convulsioni, sudorazione, nausea e vomito, in casi estremi anche con necrosi dei tessuti, perdita di coscienza e coma, fino alla morte. Incontrare questo animale quindi sulla propria strada è davvero pericoloso, soprattutto se la sua diffusione in Italia si sta moltiplicando a causa del cambiamento climatico.
In quest’ottica, un team di ricerca internazionale ha deciso così di sviluppare un antidoto. Fino a oggi infatti era sempre stato utilizzato un antiveleno prodotto tramite gli anticorpi dei cavalli, che per tal fine erano sottoposti a prelievi continui di sangue per estrarne il principio attivo. Tuttavia, anche questa soluzione comporta dei rischi per la salute umana, che gli scienziati hanno cercato di aggirare cercando nuove soluzioni.
Cosa propone il team di ricerca?
Il principio attivo contenuto nel siero estratto dai cavalli, in alcuni casi può comportare l’insorgenza della cosiddetta “malattia da siero”. Si tratta di una reazione avversa che può portare a shock anafilattico, con una risposta immunitaria esagerata fino alla morte.
Per questo motivo, un gruppo di scienziati tedeschi dell’Istituto di Biochimica, Biotecnologia e Bioinformatica dell’Università Tecnica di Braunschweig, insieme al team di ricerca della Facoltà di Medicina – Istituto Carl-Ludwig di Fisiologia dell’Università di Lipsia, del Centro per la Ricerca Scientifica e l’Istruzione Superiore di Ensenada (CICESE), del PETA Science Consortium International eV e di altri centri ha lavorato in questi mesi a un antidoto alternativo. La ricerca, “Human antibodies neutralizing the alpha-latrotoxin of the European black widow”, è stata pubblicata su Frontiers in Immunology.
Grazie alla tecnica dell’”antibody phage display” vengono testati miliardi di anticorpi umani fino a identificare l’alfa-latrotossina e a combatterla. Sono stati così identificate diverse decine di anticorpi che possono neutralizzare il veleno, ma solo uno (il MRU44-4-A1) ha restituito un alto grado di neutralizzazione. Studiando tali anticorpi, gli scienziati sperano di ottenere un antidoto che possa essere messo in commercio su larga scala, in modo tale da non dover più rifuggire nel siero di origine equina.