La storia incredibile che è davvero emozionante. Nuota da 40 giorni senza fermarsi, scopriamo insieme perché e dove è accaduto.
Ci emozionano moltissimo le notizie riguardanti incredibili imprese. In questo periodo in cui abbiamo davvero molto bisogno di buone notizie, è sempre bello leggere quando alcune persone si impegnano in qualcosa, che spesso nasconde anche un significato molto profondo. Come la storia di oggi, che racconta di un progetto straordinario che speriamo avrà impatto su diverse persone in tutto il pianeta. Scopriamo insieme dove è accaduto e cosa è successo nel dettaglio.
Nuota da 40 giorni senza fermarsi, ecco la sua storia
Pensate di iniziare un’impresa così incredibile che richiede anche un notevole sforzo fisico. Nuota da 40 giorni e non si è mai fermata. Potrebbe sembrare un titolo assurdo eppure è la vera storia di Yvette Yaa Konadu Tetteh.
Forse ancora non la conoscete, ma sta facendo parlare di se per questa trovata geniale.
Tetteh è una giovane imprenditrice del settore agroalimentare. Non solo, perché è anche una impegnatissima attivista, molto attenta alla questione ambientale. Ogni giorno ci arrivano infatti notizie da tutto il mondo, sul sempre più pressante problema del cambiamento climatico.
Un disastro su tutti i fronti che sta danneggiando interi ecosistemi e mettendo a repentaglio la sopravvivenza di moltissime specie. Colpa ovviamente anche dell’azione scellerata dell’uomo, che non riesce a porre un freno in alcun modo all’inquinamento. Abbiamo spesso notizia di campagne di sensibilizzazione ed anche di gesti forti da parte di attivisti che per farsi ascoltare scelgono di attirare l’attenzione su opere d’arte o monumenti storici.
Yvette Yaa Konadu Tetteh, ha voluto fare la stessa cosa, solo in maniera meno aggressiva, ma coinvolgendo solo se stessa ed il luogo dove voleva porre l’attenzione. Dunque come farlo se non attraversandolo a nuoto? L’imprenditrice ha infatti nuotato ogni giorno per 5 ore senza mai fermarsi, per un totale di 40 giorni. E lo ha fatto attraversando il fiume Volta, in Ghana. Ad accompagnarla il “The Woman Who Does Not Fear”, un catamarano che l’ha seguita per tutto il tempo, ed impegnato con lei in questa sfida incredibile.
L’obiettivo? Accendere un faro su quanto l’industria tessile sia altamente inquinante, quanto le microplastiche dei vestiti abbandonati stiano avvelenando sì l’intero pianeta, ma soprattutto le acque in cui si è trovata a nuotare.
Yvette Yaa Konadu Tetteh ed il dramma dell’industria tessile
“Voglio che le persone capiscano e apprezzino il valore che abbiamo qui in Ghana“. Lo afferma Tetteh stessa ai microfoni del The Guardian. Le acque dove si è trovata a nuotare un tempo erano infatti pulite, ma ora “non vorresti toccarle più” racconta l’imprenditrice.
Tetteh ha organizzato questa impresa incredibile grazie alla Fondazione Or, di cui è membro del consiglio. Un’associazione che da anni si batte contro dei rifiuti tessili in Ghana. Secondo le stime, questa sarebbe la principale causa dell’aumento dell’inquinamento idrico in tutto il paese.
Nuota per 40 giorni in modo da far scoprire ogni giorno questa triste realtà a tutto il mondo. Le acque apparentemente limpide dove si è immersa, sono in realtà una concentrazione incredibile di microplastiche che uccidono lentamente diverse specie animali.
Si stima infatti che il Ghana importi circa 15 milioni di capi di abbigliamento di seconda mano ogni settimana. Solo nel 2021, sono entrati nel paese 214 milioni di dollari di vestiti usati, vincendo così il podio di più grande importatore mondiale.
I tessili importati vanno nel mercato di seconda mano di Accrano. Di questi però il 40% finisce scartato e dunque rifiuto che non fa altro che opprimere il paese.
Il problema del Fast Fashion
L’iniziativa di Tetteh è davvero lodevole e mette davvero in evidenza un problema tremendo. L’industria tessile è davvero un grande problema in tutto il pianeta. In questo senso il principale responsabile è l’industria del fast fashion.
Si tratta di tutti quei capi di abbigliamento prodotti da aziende che tutti conosciamo. Indumenti a basso costo, dunque di qualità non eccelsa, progettati per durare poco e spesso fabbricati con tessuti non sostenibili, inquinanti e non sempre nemmeno troppo adatti alla nostra pelle.
Un modo di fare abbigliamento appunto “velocissimo”, che abbaglia gli acquirenti con l’illusione di poter essere sempre al passo con i cambiamenti della moda, senza dover spendere un patrimonio per cambiare continuamente look. Ogni giorno vengono prodotti milioni di vestiti, troppi davvero.
Secondo numerosi studi è ormai evidente che la produzione di un indumento di questo tipo, produca emissioni inquinanti di anidride carbonica. E naturalmente preveda un incredibile consumo energetico. Non finisce qui, perché l’85%, dunque un numero enorme di prodotti, finisce dritto nelle discariche. Ad oggi gli esperti di settore sono concordi nel ritenere il Fast Fashion responsabile al 10% di quello che accade nel pianeta, dal problema dell’inquinamento, senza sottovalutare anche il discorso dello sfruttamento della manodopera.
Cosa si può fare? Alcune di queste aziende, attuano una politica definita di “greenwashing”, cercando di promuovere iniziate più o meno “sostenibili”. Come incentivare gli acquirenti a consegnare vestiti vecchi per riutilizzarne i materiali. Questo però porta ad acquistare di più, grazie ai buoni regalo elargiti in cambio.
In generale serve più consapevolezza. Molti di noi non possono fare a meno di acquistare in queste catene, ovviamente per una questione economica. Bisognerebbe forse cercare di comprare quello che davvero ci è necessario.