Sicuramente uno degli argomenti più caldi dell’estate, quello dell’arrivo nelle nostre acque del mitico Granchio Blu. Scopriamo come è arrivato fino a noi.
Decisamente la star della scorsa estate per via dei sempre più frequenti avvistamenti nelle nostre acque, il granchio reale o blu, o granchio azzurro, il cui nome è Callinectes sapidur, è un crostaceo appartenente alla famiglia dei Portunidi. Ovvero una specie che di norma si trova principalmente nelle coste atlantiche del continente americano. Da qualche tempo però sembra ormai stabile nei nostri territori. Come è arrivato?
Originariamente infatti questa specie è originaria dell’Oceano Atlantico e la si trova in abbondanza nelle zone di Nuova Scozia ed Argentina. Si spinge spesso anche lungo i fiumi, perché la sua particolarità è proprio quella di tollerare anche livelli di salinità più basi del normale.
La specie arriva a misurare fino a 15 cm di lunghezza e 23 cm di larghezza. Effettivamente è di colore blu, di forma ellittica e presenta anche due spuntoni ai due lati del corpo e margine anteriore. A colpo d’occhio vi accorgerete che presenta zampe allungate, più grandi negli esemplari maschi che nelle femmine.
Durante la muta inoltre appaiono delle curiose macchiette rosa che acquistano man mano colore, diventando sempre più rosse. Si stima che le femmine possano produrre circa 2 milioni di uova. I primi avvistamenti in Italia risalgono in realtà al 1949 e al 1951 e successivamente al 1970, in maniera in realtà molto sporadica e nei territori di Genova e Sicilia.
Questo almeno fino ad aprile 2023, quando a quanto pare la presenza del granchio è diventato sempre più invadente, con segnalazioni nel Delta del Po e Porto Garibaldi. E da agosto 2023 invece è stato segnalato in maniera sempre più copiosa all’Isola d’Elba, a Uguento e nel Salento.
Come è arrivato?Tramite l’acqua di zavorra incamerata per zavorrare le navi, molti esemplari della specie sono stati introdotti loro malgrado in diverse parti del mondo, Mare del Nord, Mar Nero, Mar Giallo, Mar Baltico.
Le acque di zavorra, sono note anche con il nome di Ballast’s water. Si tratta di quelle acque che le navi prelevano o rilasciano per mantenere stabilità durante il tratto di navigazione. In generale vengono pompate all’interno di alcuni serbatoi di zavorra (da qui il nome) che si trovano internamente alle imbarcazioni, dove si trovano gli spazi tra la struttura della nave ed il doppio fondo.
Questo meccanismo le rende però un vettore importante di propagazione di specie, alcune anche invasive. Questo perché prelevano l’acqua in una zona, e tutto quello che vi si trova all’interno, prelevandola in un’altra. Spesso rilasciando anche plancton, alghe, larve, uova. Dove però non trovandosi predatori naturali che ne ostacolano la sopravvivenza, se le condizioni ambientali lo consentono, possono svilupparsi e propagarsi a vista d’occhio. Facile comprendere come questo, come nel caso del granchio blu, possa comportare danni agli ecosistemi locali, agli habitat ed anche alle specie che già vivono in queste zone.
Questo può causare danni agli ecosistemi locali e alla biodiversità, alterando l’equilibrio ecologico e danneggiando le attività economiche basate sul mare.
Naturalmente le istituzioni hanno già adottato strategie per mettere un freno a questa situazione. Pare infatti che entro il 2024, le navi dovranno avere obbligatoriamente dotarsi di un sistema di trattamento per questa acque di zavorra. Quando dovranno scaricare le acque in un porto diverso, prima di tutto dovranno prima procedere al trattamento e disinfezione e scaricare ad almeno 200 miglia dalla costa.
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