Archeologi si imbattono in qualcosa di spaventoso e insolito: scoperta sorprendente

Qualcosa di spaventoso e insolito che ha lasciato gli stessi archeologi senza parole. Oggi vi raccontiamo di che si tratta e dove è accaduto.

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Si imbattono in qualcosa di spaventoso – viaggi.nanopress.it

A volte scoperte che risalgono a molti anni addietro, possono rivelarsi molto utili a distanza di tempo. Questa volta si tratta di un ritrovamento davvero incredibile che ancora oggi continua a far parlare a causa di nuove indagini portate avanti dagli archeologi. Vediamo insieme dove è avvenuto.

Qualcosa di spaventoso ed insolito ha sorpreso gli archeologi.

Abituati come sono a viaggiare ovunque e condurre ricerche in ogni parte del mondo, gli archeologi sono davvero pronti a tutto. Accade dunque di rado che possano trovarsi senza parole o anche intimoriti durante le loro ricerche.

La scoperta di cui parliamo viene da molto lontano e precisamente dal Mount Owen in Nuova Zelanda. Si trova nel distretto di Tasman, a 1875 metri su livello del mare e contiene al suo interno diverse grotte di tipo carsico. Appartiene al Parco Nazionale di Kahurangi ed è apparso anche al cinema: Peter Jackson girò qui una scena de La Compagnia dell’anello.

Non è questo però a renderlo famoso oggi. Qualcosa di spaventoso ed insolito è stato ritrovato qui nel lontano 1980. Una spedizione archeologica mirata all’esplorazione delle grotte carsiche trovò infatti un enorme artiglio.

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Qualcosa di spaventoso e insolito – viaggi.nanopress.it

Dalla grandezza poteva somigliare anche a qualcosa di appartenente ad un dinosauro. La cosa curiosa: attaccato all’artiglio, la pelle ricoperta di squame ancora intatta, come se l’animale fosse appena morto. Niente di più sbagliato perché i resti sono risultati risalire a ben 3.330 anni prima. E l’esemplare in questione non è affatto un dinosauro, bensì un Megalapteryx didinus. Comunemente noto agli esperti come Moa di montagna.

Si tratta di un uccello ovviamente risalente ad epoca preistorica ed estinto da secoli.

Secondo gli esperti questo esemplare è apparso 1,8 milioni di anni fa, in diverse specie, almeno dieci. Un qualcosa di davvero gigantesco, tre metri di altezza, sebbene alcune specie arrivassero solo ad un metro e mezzo. Gli scienziati lo ritengono dunque l’uccello più grande al mondo in quell’era specifica.

Le moderne teorie sul Moa di montagna

Sì ma come era fatto questo Moa? L’aspetto doveva essere a dir poco spaventoso, senza ali e coda, ma completamente ricoperto di piume. In realtà resti di questo uccello vennero trovati anche nel lontano 1839 quando venne ritrovato un osso di Moa sulla riva di un fiume e spedito al Royal College of Surgeon a Londra.

Inizialmente gli esperti lo liquidarono come un semplice uccello sconosciuto e solo diversi anni dopo, grazie al ritrovamento di altri reperti di questo tipo, gli scienziati sono riusciti ad individuarne la morfologia precisa.

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Una specie estinta – viaggi.nanopress.it

In tutto il mondo ad oggi sono stati ritrovati migliaia di ossa di questo leggendario esemplare ed in molti casi sempre con tessuti attaccati. Rilevamenti avvenuti in zone nascoste e paludose, segno che forse l’uccello ricercava luoghi protetti per proteggersi o perché no, nidificare.

Si torna ora a parlarne perché di recente gli scienziati di Harvard, utilizzando proprio l’artiglio di Owen sono stati in grado di mappare e compilare il genoma completo della specie.

La ricerca è stata pubblicata in maniera non ancora definitiva, ma ci dice che il Dna ricavato dalle dita dell’artiglio, potrebbe in futuro essere utile ad una sorta di riproduzione dell’animale. Alla maniera di Jurassic Park per capirci. Gli scienziati ritengono che per sperimentarlo si rende necessario un uovo di emu di almeno una libbra.

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Moa di montagna – viaggi.nanopress.it

La notizia è naturalmente fonte di grande dibattito nella comunità scientifica per via del dilemma morale in tema di clonazione. Al momento l’emu sembra essere tra tutti gli uccelli presi in esame, quello più simile al Moa.

Gli scienziati si stanno adoperando anche per mappare i genomi di piccioni viaggiatori e mammuth lanosi.

In ogni caso, la “clonazione” di un uccello sembra essere molto più complicata di quella adoperata in passato per la pecora Dolly, il primo mammifero clonato. Questo perché ciò che funziona per i mammiferi fino ad oggi, risulterebbe troppo difficile per gli uccelli. Il condizionale è d’obbligo perché nella scienza mai dire mai.

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