Ci sono ragioni precise per cui le rondini non volano in primavera. E di questo passo, forse, non lo faranno proprio più.
Si dice che una rondine non faccia primavera. È anche vero però che l’assenza di rondini ci parla di quanto le stagioni siano a rischio: questi uccelli rappresentano infatti un “indicatore biologico di qualità ambientale” e il detto popolare in realtà nasconde una fonte di verità.
Una rondine può voler dire poco se isolata, ma in realtà la loro presenza massiccia indica che un ambiente sano, perché dotato di aria buona, in cui c’è un equilibrio tra attività umane e il mondo naturale. Così come la loro mancanza dimostra l’esatto opposto. Ecco perché la scomparsa delle rondini allora non dev’essere sottovalutata.
Da anni la Lipu, associazione per la tutela della natura e della biodiversità, invita alla preservazione di questa specie. A sfatare allarmismi e a incentivare la consapevolezza sulla condizione delle rondini, la Lipu ha recentemente pubblicato inoltre i risultati 2023 dello studio sul Farmland Bird Index che confermano una tendenza preoccupante: l’indagine descrive l’andamento delle popolazioni degli uccelli comuni delle aree agricole e, stando ai dati raccolti, nelle campagne italiane le popolazioni di uccelli sarebbero diminuite in media del 36%, fino a punte del 50% nella pianura padana.
Un fenomeno dovuto soprattutto ad attività antropiche, come l’uso dei pesticidi, considerato che le rondini si nutrono di insetti. Tra i fattori scatenanti ci sarebbe però anche la modernizzazione degli allevamenti di bestiame: la scomparsa delle stalle tradizionali, dotate del sottotetto, impedirebbe alle rondini di trovare il loro luogo ideale per nidificare.
Questa situazione riguarda tanto gli ambienti collinari, così come le aree del Centro e del Sud Italia. Si pensi che otto specie su nove in totale soffrono del cambiamento delle abitudini, destinate alla scomparsa: parliamo del torcicollo, upupa, usignolo, saltimpalo, verdone, cardellino, verzellino e ortolano. Ecco perché la Lipu chiede a gran voce che siano ripristinati ambienti fondamentali per la tutela della biodiversità, da tutelare rafforzando la PAC e chiedendo che il 4% dei terreni rimanga incolto, così da dedicarlo alle specie.
“Bisogna agire per conciliare le esigenze della produzione agricola con la tutela della biodiversità”, ha spiegato la Lipu, spiegando che la “Prima responsabile di questa tendenza è l’agricoltura intensiva degli ultimi decenni che, secondo i dati Fbi, ha portato al crollo di specie in passato molto presenti, come la rondine (-51%), l’allodola (-54%) o la passera d’Italia (-64%), e alla quasi scomparsa di specie come l’averla piccola (-72%), il saltimpalo (-73%), il torcicollo (-78%), il calandro (-78%)”.
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