Sapevi che nell’antica Roma i fori sui sedili disposti in pubblico servivano ad uno scopo ben preciso? Scopriamo quale!
Sapevi che nell’antica Roma c’erano dei supporti poggiati su sporgenze, che rappresentavano i sedili dove fare i bisogni? Proprio così, e nei sedili c’erano dei fori praticati per questo scopo.
Quello che sicuramente non sapevi è che i romani facevano in pubblico i loro bisogni, e che riutilizzavano le feci e l’urina. Scopriamo di più su questo argomento e sui fori che c’erano nei sedili posti in ambienti pubblici!
L’uso delle latrine pubbliche era normale per i Romani, che facevano lì i loro bisogni. Solo a Roma c’erano ben 150 latrine pubbliche, dove i Romani si recavano per fare i bisogni davanti agli altri. Non c’era quindi la privacy all’epoca, e tutti non avevano vergogna di mostrarsi davanti agli altri.
Le latrine erano composte da ambienti ampi e ben organizzati per questo scopo. La forma della latrina era rettangolare e due lati presentavano tanti sedili con dei fori, che corrisponderebbero agli attuali water. I sedili forati erano posizionati sopra un canale in cui fluiva l’acqua.
I bisogni andavano a finire nel canale e la corrente li portava via, fino a condurli nella cloaca posta in prossimità. Nel mezzo della latrina era presente una canaletta contenente acqua pulita, dove era possibile immergere un bastoncino con all’estremità una spugna. Dopo il lavaggio, si gettava la spugna in un contenitore apposito. I servi la prendevano, la lavavano e la rimettevano pronta per riutilizzarla.
Se fuori c’erano le latrine pubbliche per fare i bisogni, nelle case romane venivano usati dei recipienti appositi, che venivano poi svuotati per mettere il contenuto negli orcioni, ovvero dei recipienti più grandi.
Questi orcioni venivano messi nei condomini e ad occuparsi del loro svuotamento erano coloro che lavoravano e commerciavano i concimi. Proprio così, feci e urine venivano riutilizzate per diversi scopi, come per esempio per pulire e conciare le pelli, per curare alcune malattie e come fertilizzanti.
Con l’urina si sbiancavano i panni e veniva impiegata anche per rendere le toghe più bianche e pulite. Non solo, era considerata un eccellente fertilizzante naturale, visto l’elevato contenuto di fosforo e azoto, sostanze indispensabili per il nutrimento delle piante.
I vantaggi di usare feci e urine per diversi scopi venivano elencati da diversi esperti dell’epoca. Fra questi c’era anche uno scrittore romano esperto di agricoltura, vissuto fra 4 – 70 d.C., che parlava dell’urina come una sostanza utilissima per coltivare al meglio i melograni.
Secondo lo scrittore, i melograni con la pipì crescevano più saporiti e più succosi. Ed era anche convinto che l’urina fosse adatta anche per alleviare alcune malattie sugli animali come quelle polmonari e quelle biliari.
La pipì veniva usata anche per lavorare le pelli, che venivano messe in ammollo nell’urina, mentre poi venivano passate nelle feci di animali. Visto che l’urina era così importante e serviva per tante cose, quella che si accumulava negli orinatoi pubblici veniva raccolta e venduta, ma mai gettata. Invece, le feci venivano usate per fertilizzare i terreni dei giardini delle case romane.
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