Senza alberi, con un crollo di CO2, andremmo così incontro all’inaridimento dell’ambiente e alla mancanza di risorse per la sua e la nostra sopravvivenza.
Le foreste sono in pericolo, un conto è saperlo a linee generali, un conto è capire il “perché”. Se non tuteliamo il “polmone verde” del nostro pianeta, la Foresta amazzonica, le conseguenze però potrebbero essere disastrose ed entro il 2050 si verificherebbe il collasso dei nostri ecosistemi senza via di ritorno. Ecco perché Nature, una delle maggiori riviste scientifiche al mondo, ha deciso di mettere in condivisione nero su bianco quali sono i fattori più inquinanti che ledono la sopravvivenza della Foresta amazzonica. Un monito per avere comportamenti ancora più responsabili verso la natura.
Non c’è solo il riscaldamento globale a minare la sopravvivenza della Foresta amazzonica. O meglio, è uno dei fattori più gravi, ma ce ne sono altri che, se incontrollati, possono davvero mettere a repentaglio l’ambiente, dall’Amazzonia a tutto l’ecosistema mondiale.
È quanto emerge dalla ricerca del team della Federal University of Santa Catarina. L’ateneo di Florianopolis, in Brasile, ha individuato ben cinque fattori che mettono a repentaglio la Foresta amazzonica: tra questi la quantità di precipitazioni annuali, l’intensità durante la stagione delle piogge, la durata della stagione secca, oppure quanto è esteso il processo di deforestazione.
L’ambiente avrebbe un “limite di sopportazione” (meglio noto come “tripping point”) entro il quale non riesce più a metabolizzare i fattori di stress: oltre questo limite il sistema biologico collassa. Ecco perché secondo lo studio del team della Federal University of Santa Catarina, questi fattori di rischio combinati tra loro possono rivelarsi, se incontrollati, una vera e propria bomba a orologeria. Se non dovessimo trovare un modo per frenarli, entro il 2050 potremmo assistere alla distruzione della Foresta amazzonica, parziale o addirittura totale.
Secondo queste stime, la Foresta amazonica potrebbe essere danneggiata fino al 47%. Non riuscirebbe più a produrre infatti una quantità sufficiente di CO2 rispetto a quella che riescono ad assorbire. Il primo autore dello studio, Bernardo Flores, ha spiegato che “la sinergia tra i diversi fattori di rischio potrebbe portare a degradarsi anche aree considerate resilienti”, e l’ecosistema della foresta pluviale potrebbe scomparire, e venire sostituito da una savana arida. Senza un’area che “attutisca” gli impatti del disastro ambientale, in questo modo l’ambiente non avrebbe più modo di riprendersi, con un progressivo scivolamento delle aree verdi, come foreste e boschi, verso il loro inaridimento. Senza alberi, con un crollo di CO2, andremmo così incontro all’inaridimento dell’ambiente e alla mancanza di risorse per la sua e la nostra sopravvivenza.
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