Sono sempre più frequenti le collisioni tra balene e navi. Un numero che aumenta a causa dell’incremento del traffico navale che, inevitabilmente, mette in pericolo la sopravvivenza delle balene che a causa di questi scontri rischiano la vita.
Se gli incidenti si verificano con imbarcazioni di grandi dimensioni sono solo i cetacei ad avere conseguenze, mentre quanto i natanti sono di medie e piccole dimensioni i danni e anche i pericoli coinvolgono anche l’equipaggio ed eventuali passeggeri.
Il problema sta crescendo al punto da indurre gli esperti a valutare possibili strategie per prevenirlo, in particolare sono la Commissione internazionale per la caccia alle balene, l’Organizzazione marittima internazionale e la National Oceanic and Atmospheric Administration che si sono messe al lavoro per arrivare a sviluppare piani di intervento risolutivi.
Alcune navi scelgono di modificare le rotte, ma anche questa opzione riserva conseguenze, visto che comporta anche la necessità di cambiare la velocità per rispettare i termini di viaggio e non di meno un maggior impegno economico.
Per datare l’inizio del problema bisogna tornare molto indietro nel tempo. Già nel 1800, infatti, iniziarono a registrarsi le prime collisioni che sono cresciute di numero con l’aumento della velocità delle navi. A rischiare di restare vittime di questi terribili scontri sono tra le altre: le balenottere comuni, le balene franche, le megattere, i capodogli e le balene grigie.
Ma tra tutte quella maggiormente a rischio è la balena franca che vive lungo la costa orientale di Stati Uniti e Canada, dove il traffico navale è intenso. Tra le soluzioni proposte c’è quella di diminuire la velocità nelle arie di rischio, dove si dovrebbe procedere a 10 nodi invece che 18. L’impatto con un natante anche di grandi dimensioni, ma a velocità meno sostenuta dà maggiori possibilità di sopravvivenza ai cetacei.
Nel tentativo di ovviare al ripetersi di questo fenomeno è stato fatto uno studio che si chiama ‘modello statico’, grazie al quale vengono stimate rotte e densità della specie in aree specifiche che vengono poi sovrapposte alle rotte delle navi. Un metodo che, però, non è risolutivo, visto che non tiene in considerazione la reazione dell’animale di fronte all’imbarcazione, ma anche la velocità di quest’ultima. + per questo che si è ricorsi a modelli dinamici, per cercare di stabilire quale può essere la reazione della balena alla presenza dell’imbarcazione.
Anche in quest’ultimo caso, però, ci sono delle variazioni che dipendono anche dal tipo di cetaceo che si incontra e, non di meno, se ha un cucciolo a seguito. Ogni animale può avere una reazione differente e il modello dinamico cerca di tenere in considerazione anche questo per ridurre il più possibile il pericolo di collisioni. È verosimile pensare che la balena scappi di fronte al pericolo, resta però da valutare i tempi di reazione in base alla reale percezione del pericolo per l’animale. A volte avviene quando il natante è ormai già troppo vicino, perché il cetaceo non è in grado di valutare la velocità anche nel caso in cui avesse avvertito il rumore e quindi il pericolo.
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