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Il 7 e l’8 febbraio scorsi gli abitanti di Londra hanno fatto uno strano avvistamento: un’esemplare di balena grigia si aggirava nel fiume Tamigi. Lo sconcerto è giustificato, dal momento che si tratta di un mammifero abituato a nuotare nel Pacifico: anche se proprio la sua specie ha l’abitudine di approssimarsi alle coste. Ma entrare in un fiume addirittura? Il mistero è presto spiegato: si trattava di un’iniziativa del WWF, che nei due giorni ha navigato sul fiume con una barca che trascinava quest’enorme replica di balena a grandezza naturale (11 metri).
Quest’iniziativa è legata a una protesta che l’associazione per la salvaguardia dell’ambiente e degli animali ha manifestato nei confronti di trivellazioni petrolifere al largo dell’isola di Sakhalin, nella Russia orientale. Due piattaforme sono già in opera, e i responsabili delle estrazioni, facenti capo al Sakhalin II oil and gas project, vogliono costruirne una terza: ma questo non faceva parte dei progetti originari sui quali fu valutato all’inizio l’impatto ambientale. Queste piattaforme costituiscono un pericolo per la sopravvivenza della specie della balena: con questa protesta, il WWF ha voluto sensibilizzare le tre banche europee che stanno finanziando il progetto, BNP Paribas, Credit Suisse e Standard Chartered, ad opporsi alla terza piattaforma.
Esistono solo ancora 130 esemplari di questa specie di balena, di cui solo 26 femmine: si tratta quindi di una specie in via d’estinzione. È unica nel suo genere, in quanto conserva ancora elementi residui dei suoi antenati preistorici. Si tratta inoltre dell’unico animale marino di questo tipo che si ciba direttamente dal fondale marino, agitandolo e facendo fuoriuscire i crostacei di cui si ciba e che intrappolerà nei suoi fanoni. Un tipo di pratica che le madri insegnano ai figli durante i mesi estivi e autunnali.
Le piattaforme costituiscono un rischio enorme per la sopravvivenza delle balene: inquinamento chimico e acustico, il pericolo che una balena collida con una nave, la dispersione di petrolio. Il WWF ha lanciato anche una petizione online che si può firmate al sito thelast130.org.
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